LA TROIKA ASCOLTERÀ IL VERBO?

Da tempo mi batto per il primato della persona . Da tempo mi batto per il primato della politica sull'economia.
Le parole sagge che seguono sono una luce che dovrebbe illuminare la classe politica mondiale.
189.
La politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia. Oggi, pensando al bene comune, abbiamo bisogno in modo ineludibile che la politica e l’economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana. Il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura. La crisi finanziaria del 2007-2008 era l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale. Ma non c’è stata una reazione che abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare il mondo. La produzione non è sempre razionale, e spesso è legata a variabili economiche che attribuiscono ai prodotti un valore che non corrisponde al loro valore reale. Questo determina molte volte una sovrapproduzione di alcune merci, con un impatto ambientale non necessario, che al tempo stesso danneggia molte economie regionali. La bolla finanziaria di solito è anche una bolla produttiva. In definitiva, ciò che non si affronta con decisione è il problema dell’economia reale, la quale rende possibile che si diversifichi e si migliori la produzione, che le imprese funzionino adeguatamente, che le piccole e medie imprese si sviluppino e creino occupazione, e così via.

194. Affinché sorgano nuovi modelli di progresso abbiamo bisogno di «cambiare il modello di sviluppo globale»,  la qual cosa implica riflettere responsabilmente «sul senso dell’economia e sulla sua finalità, per correggere le sue disfunzioni e distorsioni».  Non basta conciliare, in una via di mezzo, la cura per la natura con la rendita finanziaria, o la conservazione dell’ambiente con il progresso. Su questo tema le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro. Semplicemente si tratta di ridefinire il progresso. Uno sviluppo tecnologico ed economico che non lascia un mondo migliore e una qualità di vita integralmente superiore, non può considerarsi progresso. D’altra parte, molte volte la qualità reale della vita delle persone diminuisce – per il deteriorarsi dell’ambiente, la bassa qualità dei prodotti alimentari o l’esaurimento di alcune risorse – nel contesto di una crescita dell’economia. In questo quadro, il discorso della crescita sostenibile diventa spesso un diversivo e un mezzo di giustificazione che assorbe valori del discorso ecologista all’interno della logica della finanza e della tecnocrazia, e la responsabilità sociale e ambientale delle imprese si riduce per lo più a una serie di azioni di marketing e di immagine.
196. Qual è il posto della politica? Ricordiamo il principio di sussidiarietà, che conferisce libertà per lo sviluppo delle capacità presenti a tutti i livelli, ma al tempo stesso esige più responsabilità verso il bene comune da parte di chi detiene più potere. È vero che oggi alcuni settori economici esercitano più potere degli Stati stessi. Ma non si può giustificare un’economia senza politica, che sarebbe incapace di propiziare un’altra logica in grado di governare i vari aspetti della crisi attuale. La logica che non lascia spazio a una sincera preoccupazione per l’ambiente è la stessa in cui non trova spazio la preoccupazione per integrare i più fragili, perché «nel vigente modello “di successo” e “privatistico”, non sembra abbia senso investire affinché quelli che rimangono indietro, i deboli o i meno dotati possano farsi strada nella vita».
197. Abbiamo bisogno di una politica che pensi con una visione ampia, e che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi. Molte volte la stessa politica è responsabile del proprio discredito, a causa della corruzione e della mancanza di buone politiche pubbliche. Se lo Stato non adempie il proprio ruolo in una regione, alcuni gruppi economici possono apparire come benefattori e detenere il potere reale, sentendosi autorizzati a non osservare certe norme, fino a dar luogo a diverse forme di criminalità organizzata, tratta delle persone, narcotraffico e violenza molto difficili da sradicare. Se la politica non è capace di rompere una logica perversa, e inoltre resta inglobata in discorsi inconsistenti, continueremo a non affrontare i grandi problemi dell’umanità. Una strategia di cambiamento reale esige di ripensare la totalità dei processi, poiché non basta inserire considerazioni ecologiche superficiali mentre non si mette in discussione la logica soggiacente alla cultura attuale. Una politica sana dovrebbe essere capace di assumere questa sfida.
198. La politica e l’economia tendono a incolparsi reciprocamente per quanto riguarda la povertà e il degrado ambientale. Ma quello che ci si attende è che riconoscano i propri errori e trovino forme di interazione orientate al bene comune. Mentre gli uni si affannano solo per l’utile economico e gli altri sono ossessionati solo dal conservare o accrescere il potere, quello che ci resta sono guerre o accordi ambigui dove ciò che meno interessa alle due parti è preservare l’ambiente e avere cura dei più deboli. Anche qui vale il principio che «l’unità è superiore al conflitto».
Questi punti sono tratti dalla lettera enciclica "Laudato sì" di Papa Francesco.
A questo punto spero che la cosiddetta Troika ascolti tali parole. Se non lo farà peggio per lei, soccomberà. La linea oramai è tracciata.

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